Toni Baruffaldi

Toni Baruffaldi (1941) vive a Piove di Sacco (PD); è tra i soci fondatori del fotoclub “Chiaroscuro” di Piove di Sacco. I suoi primi scatti risalgono alla fine degli anni ‘60.

Nel 1978 si iscrive al primo fotoclub di Piove di Sacco (il “Diego Valeri”) e per diversi anni stampa personalmente le sue foto in Bianco e Nero. Registra i suoi frequenti viaggi, il lavoro degli artigiani, gli ambienti rurali della Saccisica, i grandi eventi (l’Irpinia terremotata, la strage alla stazione di Bologna, l’Umbria e le Marche del dopo terremoto).

Successivamente, documenta l’attività di alcuni artisti del suo territorio, tra i quali il pittore Silvano Rampin e il compianto scultore Stefano Baschierato, che fu uno dei fondatori del Gruppo Artisti della Saccisica.

Antonio Baruffaldi
Antonio Baruffaldi

Nel 1999, su invito del Comune di Padova, nella mostra Foto di Cronaca presenta 60 immagini, tutte incentrate sull’uomo, colto nei suoi atteggiamenti più espressivi: per strada, sul lavoro, tra le rovine di un paese terremotato, in una vecchia casa rurale, nel foyer di un Conservatorio.
Col colore realizza alcuni reportage, di viaggio (Hong Kong e Pekino, 1985), o sulla Natura, spesso quella meno spettacolare (Giochi d’acqua) o più misteriosa (Gli Affreschi della Val Noana). In Bianco e Nero: Luci di Sardegna; Paesaggio Interiore. Nei suoi ultimi lavori prevalgono le indagini sociologiche (Passato, Presente… Futuro?) o di impegno civile (Viaggio ad Auschwitz) e (Tracce e Segni poetici del Tempo), con immagini mai finalizzate a soddisfare i soli canoni estetici.
Ha esposto in diverse mostre personali e collettive.
Dal 2001 fa parte del Gruppo Artisti della Saccisica, sia nella sezione Arti visive e sia in quella Letteraria.

Mostre e Fotolibri: Stefano Baschierato scultore (1999); Foto di cronaca (1999); Giochi d’acqua
(2001); Silvano Rampin, tavolozze di colori (2003); Luci di Sardegna (2004); Paesaggio interiore, mito e
realtà (2007); Passato, Presente … Futuro? (2013); Viaggio (di sola andata) ad Auschwitz (2015); Tracce
e Segni (poetici) del Tempo (2017).

Calendari: Baschierato (2004); Frammenti di Viaggio (2005); Il lavoro dell’uomo (2006).

In molti dei suoi lavori i protagonisti sono l’uomo, il suo ambiente, la dignità del fare e la
grandezza del vivere.

Toni Baruffaldi
antoniobaruffaldi@alice.it
http://tonibaruffaldi.wordpress.com

POESIE

FINESTRE ACCESE

Grazie, alle finestre accese,
all’ombra tua luminosa
nel silenzio surreale
di quella piazza antica.
Il braccio mio alzato
un fuggevole saluto
senza attesa di risposta.

Ma era già scritto,
tutto scritto,
nel foglio bianco della vita
che nascondevo
vicino al cuore,
ferito da ferita dolce e lusinghiera,
che gridava parole non dette
ma udite lontano
tra radici di sambuco
e verdi campi di mais.

Sorseggiando l’aria
rivivevo la mia infanzia,
negata dagli anni
ma non dai ricordi,
colmi di fiori bianchi
sorrisi
e sguardi senza età.

Ti ho sfiorata
in quella notte
calma e misteriosa.


SESSANT’ANNI

Le mie mani a nascondere il viso,
ieri, oggi. Forse domani.

Mi scopro da tempo a guardare
con occhi di ragazzo.
Oggi qui,
più che altrove,
in questa stanza che mi riporta
a sudore di braccia e lievità di spiriti e
che si ciba di notti insonni
e inviolabili utopie,
mi piace colmare il divario di anni
che mi separa dai giorni
in cui credevo di essere immortale.

Non fu mai (e non è) vanità
ma desiderio inappagabile
di assaporare senza confini imposti
la magica virtù del quotidiano vivere.

Oggi qui
scorgendo volti che si protendono
e occhi che cercano i miei occhi:
lo stesso brivido di quand’ero
pudico fanciullo;

oggi qui
rincorrendo suoni che scrivono parole
a ricordare grida di bimbi nel sagrato.
Pochi passi e…
un abbraccio caldo mi svuota
e sospende dolcemente il mio passato.

Mi lusingo
e mi lusinga questa percezione intima,
inalienabile del tempo.
Un giorno,
ancora un giorno,
sul generoso carro dei liberi sogni.

(All’inaugurazione di una mostra del pittore Silvano Rampin)


LA COLONIA DI FALCADE

Era d’estate. Sudore di passi
in quel lungo sentiero. Nel bosco,
ombre odorose ribes e silenzi.
Fu d’improvviso, un ricordo lontano:
di là del monte, la colonia del mio paese.

« In fila per due! » inizio giornata
gli occhi collosi, in marcia forzata;
in chiesa la messa, proibito scappare
comunione obbligata e dopo mangiare.
Ai tavoli panche, ognuno al suo posto
la tazza è contusa, il pane un po’ tosto
caffelatte con panna, aspetto grinzoso
aliena vivanda per occhio sfizioso.
Rifatto il mio letto quattro salti in cortile,
una mela abitata, un sorriso gentile;
talvolta rinuncio perfino a giocare
coltivo gli sguardi, è tempo di sognare.
Varcato il torrente, tappeti di viole
cavallette piscione, lamponi e nocciole;
« Madre, un porcino! » una testa compare,
la suora felice in disparte a meditare.
Alle undici in punto una bella orazione,
per l’angelo custode c’è gran devozione,
e non manca il rosario, ora pro nobis,
Sancta Virgo virginum, ora pro nobis.

A pranzo caciara e un batter di piatti
il vitto ritarda, una bolgia di matti,
la pasta è stracotta, la carne lardosa
la verdura è passita, che storia penosa.
A rancio ultimato, tortura di fino
la branda ci aspetta per un bel riposino,
cuscini che volano non passa mai l’ora,
rumori sospetti, oddio la Superiora.
E dopo in paese tra ali di gente
“che bravi fanciulli” si vede e si sente:
l’orgoglio ci sfiora, ma ora a giocare
finché sulle Pale è la luce a scherzare.
A sera sciupati una cena frugale
a nanna leggeri non fa così male,
ma prima una prece, salmi e canzoni
« Grazie o Signore di questi tuoi doni”.

Il giorno si spegne, la suora a benedire
« Buonanotte bambini, è ora di dormire ».
La finestra è socchiusa, la luna riappare
nel buio due occhi mai finiscono di guardare.

A ricordo della colonia estiva di Falcade (BL), ai piedi del Focobon
nel Gruppo delle Pale di San Martino.
La colonia – siamo negli anni ’50 – era gestita dalle suore di Piove di Sacco.


SARDEGNA IERI

Ti rapirò
tra onde sconosciute,
cavalieri senza nome
lanciati contro mulini a vento.
Ti adagerò
tra gli olivi sgraziati,
inginocchiati a pregare
le loro esauste radici
e aspetterò il vento della sera
che è sospiro di terra
e risucchio di mare.

Al mattino
voci infantili si schianteranno
contro lo scoglio antico,
plasmato dai flutti
che tormentano questa terra
inquieta da sempre.

Schiuma di pianto
e coralli di felicità,
conviventi come l’odio e l’amore
il viver breve e perpetuo dei pastori
le urla silenti del muto paesano.
Vizi ereditati
come le pietre del proprio orto,
tèssere di un mosaico
tracciato e deciso
nei contorti labirinti
di un seducente altrove.


IL TRENO DELLE 5,30

A passi lenti
misurati
ripassati cento volte nella tua mente lucida
hai percorso la distanza
che separa la vita dalla morte,
la luce dalle tenebre,
il tepore dell’aria dal gelo degli abissi.

Non ti colse il dubbio.

Le mani dietro
le braccia dietro
le membra dietro …
ma il volto era proteso,
il collo era proteso,
l’anima tua era protesa,
il cuore tuo, moribondo,
era proteso.

Nulla ha potuto l’uomo che avanzava
con l’orrore negli occhi,
che cercava i tuoi occhi
per chieder loro pietà:
la ferocia dell’acciaio non perdona.

C’è un gran brusio intorno a te,
a ciò che resta di te.
Sono i grilli della scarpata
che nulla sapevano di te;
sono le rondini di casa tua
che mimano al cielo
i tuoi ultimi respiri;
sono i tuoi cari,
così vicini da non capire
perché andavi così lontano.
Sono anche i tuoi paesani
– eri uno di loro –
che tutto sapevano
tranne il vuoto che era in te.

Ma presto vagherai,
anima dispersa,
in un limbo antico
che noi chiamiamo pace:
la pace che cercavi
non quella che volevi.

Erano le cinque e trenta
dell’ultimo giorno di primavera.